IRENE ABATI Infermiera RSA resilienti 2020

IRENE ABATI · Infermiera RSA, 32 anni

“Solo imparando a onorare la vita in ogni sua fasepotremo affrontare anche le prove più dure”

Ricordo bene cosa ho provato quando, al telefono, mi informavano che il nostro primo paziente era risultato positivo. Il nostro castello di vetro si era infranto, il virus era entrato e, da quel momento, tutto si doveva muovere per far sì che non dilagasse. Sono infermiera e responsabile delle attività sanitarie di una casa residenziale per anziani; ricordo confusione e rumore per lunghi giorni in cui continuavano ad arrivare nuove direttive; era un continuo cercare di adeguarsi, senza sottovalutare niente, con pochi mezzi e la sensazione di essere isolati, impotenti davanti a qualcosa che risultava, in ogni modo, più forte. La paura di sbagliare, la grande responsabilità dentro ogni passo. Ricordo il silenzio in cui è piombata la nostra struttura. Le case residenziali per anziani sono luoghi aperti, di socializzazione e comunità. Prima la chiusura ai visitatori, poi l’isolamento, ognuno nella propria camera. Poi i decessi, tanti, uno dopo l’altro. Ho in mente i volti segnati dei nostri anziani che non ci sono più e le voci disperate dei loro famigliari che non li hanno potuti accompagnare all’ultimo respiro. Sento sarebbe indispensabile, un giorno, donare a loro e alle loro famiglie, quel rito di passaggio, fatto di affetto e ricordi, che non hanno potuto avere. Ricorderò per sempre quei guanti, quelle mascherine, quelle visiere, che non ci hanno permesso di contattare i corpi e le anime di quanti avevano bisogno di calore umano, ma che ci hanno permesso di salvargli la vita. Ci siamo trovati a fare di tutto; l’integrazione all’interno del team di lavoro è stata immediata. Con lo staff sanitario, con il quale avevo già un grande rapporto di fiducia, si è creato un legame che porterò sempre nel cuore, ci muovevamo insieme e ci supportavamo, come pezzi di un unico corpo. Il Covid mi ha un po’ inaridita, ho dovuto ispessire la mia armatura. Per tre mesi ho avuto il cuore diviso a metà: da una parte pazienti e colleghi, dall’altra la mia famiglia. Questo, camminando di fronte, quotidianamente, alla sottile linea che ci separa dalla morte. A livello clinico, psicologico e sociale ancora tanto si deve capire e si deve dire sul Covid, ma penso sia importante sottolineare che solo quando ci si impegnerà consapevolmente ad onorare la vita in ogni sua fase, arriveremo preparati di fronte a qualsiasi difficoltà, e pronti a rispondere ai bisogni di tutti in modo adeguato.