ANTONIO NOUVENNE · Medico e responsabile Unità Mobile Multidisciplinare, 43 anni
“Molto di quel periodo per noi è stato suono: respiro e battito”
Non ho avuto paura di ammalarmi, ma credo sia una questione di carattere: non avrei fatto il medico se avessi avuto certi timori. Mi toccava invece la richiesta di aiuto, e la delicatezza dei pazienti e dei loro familiari nel rapportarsi con noi. Oltre all’attività di reparto, con tutta la fatica di quei mesi, come dirigente medico e responsabile dell’Unità Mobile Multidisciplinare mi sono occupato anche di raggiungere, con quest’ultima, i pazienti più fragili nelle Rsa o a domicilio. La nostra squadra si muove con un’auto e ha la possibilità di fare ecografie ed esami di base: un servizio che nel periodo più intenso della pandemia è stato molto importante, perché ha dato a tutti la stessa opportunità di cura. Nel frattempo, al padiglione Barbieri avevamo convertito tutti e cinque i reparti per accogliere solo pazienti Covid, arrivando ad avere 391 letti in spazi che di norma ne ospitano 140. Ora posso dire che molto di quel periodo per noi è stato suono: il ritmo dei respiratori, il suono del respiro affannoso e del battito da rilevare. Non potevamo basarci sulla medicina delle evidenze scientifiche per valutare ciò che era utile oppure no, dovevamo tornare al metodo dell’osservazione: alla medicina dei sensi. Questo ci chiedeva lo sforzo di percepire segni e sintomi, suoni e immagini, per costruirci un’esperienza del virus e capire i trattamenti migliori. Quando non si conosce la malattia diventa fondamentale il momento dell’anamnesi, cioè del colloquio con il paziente per chiedere esattamente cosa prova, cosa ha sentito. Credo che questo, in un certo modo, abbia restituito qualità alla relazione tra medico e paziente. Per me è stato molto motivante, così come la grinta mostrata degli specializzandi e dai medici più giovani; o tutti i messaggi di incoraggiamento ricevuti dai bambini che ci facevano recapitare lettere e dolci fatti in casa. Dall’altro lato, la cosa più drammatica della pandemia è stata l’impossibilità dell’ultimo saluto. È l’aspetto che, anche ora, viviamo con maggiore difficoltà, perché nell’uomo è importante elaborare il distacco e la nostalgia. Sono stati momenti impegnativi, ma ora so che in ogni situazione, nonostante le difficoltà, vale sempre la pena lavorare e ricercare i “suoni della vita”.