GIUDITTA MANGHI Operatrice socio sanitaria Resilienti 2020

GIUDITTA MANGHI · Operatrice socio sanitaria, 46 anni

“Abbiamo lavorato con il cuore e con l’anima, condividendo lacrime, ma anche speranza”

Sono stati momenti pesanti in cui nessuno poteva sapere, prevedere o immaginare dove ci avrebbe portato tutto questo. Lavoro come Operatrice socio sanitaria al padiglione Barbieri, nella sezione C - Degenza internistica acuti. Lo scorso marzo il virus ci è piombato addosso costringendoci a ritmi da guerra. Oltre alla cura della persona, che appartiene alle mie mansioni di sempre, mi sono ritrovata con i miei colleghi ad assistere i malati negli ultimi momenti, ascoltando i loro pensieri per i figli, i nipoti o la famiglie che non potevano essere lì. La pandemia rendeva impossibile ogni visita e accanto ai malati di Covid c’eravamo solo noi. Molti arrivavano già in condizioni critiche. Tenevamo sempre vive le speranze, ma a volte si vedeva che avrebbero avuto poco tempo, quindi cercavamo di stargli vicino. Abbiamo raccolto veramente tanti messaggi da portare ai parenti. Potevamo solo restare lì, come fossimo una persona cara per accompagnarli nel migliore modo possibile, ma purtroppo non riuscivamo a dividerci per tutti i pazienti che avevamo. È stato un periodo di ritmi durissimi che ci ha lasciato svuotati. Ancora adesso dormo male. Quando arrivano pazienti critici, torna subito l’angoscia di ritrovarsi con i numeri dello scorso marzo. Devo dire però che abbiamo fatto del nostro meglio: ci abbiamo messo il cuore e l’anima. Io lavoro in una bellissima squadra e quel periodo ci ha uniti ancora di più. La caposala era qui costantemente e sapeva ogni volta come motivarci. Ci siamo aiutati e sostenuti a vicenda. Abbiamo condiviso tante lacrime, ma anche speranze e soddisfazioni perché alcuni, nonostante fossero in gravi condizioni, alla fine ce l’hanno fatta. Certi pazienti sono rimasti in contatto con noi. Uno di loro ci ha perfino dedicato una canzone che la moglie ha poi cantato con la sua orchestra. Per il resto abbiamo vissuto davvero in un’atmosfera da guerra: le chiamate continue dal pronto soccorso, la richiesta incessante di letti, i pazienti che arrivavano in condizioni disperate, sempre troppo tardi. Alla fine non avevi tempo di pensare a nulla se non a fare il tuo lavoro nel migliore dei modi.