ANNARITA MELEGARI · Fotografa “La Gazzetta di Parma”, 57 anni
“Resta indelebile la potenza del vuoto nelle strade e la forza incontrata negli sguardi dei sanitari”
L’angoscia di ciò che stava accadendo era amplificata da tutto quel vuoto nelle strade. Parma era deserta: credo che nessuno l’abbia mai vista così, e io spero di non doverla più rivedere. Quell’atmosfera resta indelebile nella mia mente. Potevo sentire il rumore dei miei passi, e percepire un’inquietudine diffusa che rendeva ogni immagine più intensa, se così si può dire. Penso alle file davanti ai supermercati, alle persone con il viso coperto che se ne stavano lì, in attesa di comprare il pane. E naturalmente penso a tutta la parte ospedaliera che, come fotografa, mi sono occupata di documentare per la “Gazzetta di Parma”. Del lavoro in rianimazione, delle ambulanze, del tempio di cremazione e dei vari aspetti dell’assistenza mi resta una certezza: i protagonisti di questa pandemia sono stati i sanitari. In ospedale ho davvero visto persone che ogni giorno erano lì per salvare vite. La Sanità la diamo sempre per scontata, e ora credo sia doveroso riconoscerne il peso. Ho visto come medici e infermieri si sono adattati alla situazione ed è stato straordinario: hanno cambiato i connotati di un reparto in quarantotto ore, hanno modellato i protocolli a seconda delle esigenze, pur nelle difficoltà e magari con i problemi del caso, ma erano presenti e attivi. Non voglio certo sminuire il lavoro degli altri: dai giornalai, alla cassiera del supermercato, a chi faceva il pane, agli operatori ecologici; però le figure ospedaliere - dall’infermiera alle persone che pulivano i reparti - tutti loro hanno fatto funzionare una “macchina” che in quel momento era vitale. Per il resto, non lo so, speravo che un’esperienza così dura lasciasse un po’ più di consapevolezza. Nei mesi estivi ho visto gente che scalpitava per tornare alla normalità, riempiendo le spiagge e i locali, e oggi c’è chi nega il rischio del contagio. Questo mi suscita molta rabbia, perché quando vedi decine di bare accatastate non puoi sopportare chi continua a sminuire.
MARCO VASINI · Fotografo “La Repubblica Parma”, 43 anni
“Resta indelebile la potenza del vuoto nelle strade e la forza incontrata negli sguardi dei sanitari”
Sapevo che per fare bene il mio lavoro non dovevo pensare a quello che stava succedendo. Dovevo mettermi in sicurezza, concentrarmi e portare a casa il miglior risultato nelle condizioni in cui potevo muovermi. Per “La Repubblica Parma”, come fotografo, ho seguito i fatti legati al Covid a trecentosessanta gradi: dall’ospedale, alle attività cimiteriali, al pizzaiolo che preparava gratuitamente cibo per medici e infermieri in reparto. C’erano le parti più drammatiche e le espressioni di solidarietà. Penso che una cosa buona di questo periodo sia stata proprio la disponibilità delle persone. Ma a colpirmi più di tutto è stato vedere i medici, gli infermieri e gli Oss che lavoravano ininterrottamente. Sembra scontato, ma non lo è. Restando fuori era difficile da percepire, ma quando entravo in ospedale per fare un servizio e mi trovato accanto a loro con addosso la stessa tuta, visiera e doppia mascherina, allora mi rendevo conto di quanto fosse faticoso. Io magari restavo lì due ore e già mi affannavo per il caldo e la sete. Pensare che loro sarebbero rimasti vestiti così per otto o dieci ore mi dava la misura dell’impegno richiesto. Più di una volta mi sono trovato in ospedale mentre il personale stava affrontando problemi nuovi e urgenti, ma non ho mai visto nessuno lamentarsi, né andarsene perché il suo turno era finito. Questa pandemia era inaspettata e, specie nei primi tempi, per loro era davvero difficile da gestire. La prima volta che sono stato nel reparto di rianimazione c’erano al lavoro una decina di persone che non riuscivano nemmeno a riconoscersi da tanto erano coperti dai dispositivi di sicurezza. Per capire con chi stavano parlando dovevano guardarsi negli occhi. Proprio alla forza di quegli sguardi ho dedicato una serie di scatti che ho poi pubblicato. In alcuni momenti per me è stato strano perché, pur avendo già lavorato in situazioni di emergenza come terremoti o alluvioni, per la prima volta non avevo la certezza di essere totalmente al sicuro, quindi l’attenzione era altissima.